C’è un posto, a volte calzante e stretto, a volte largo e accogliente, che sta proprio nel mezzo di un cerchio di sedie durante un laboratorio contro le discriminazioni, in cui accompagno una prima liceo inaspettatamente brillante e seria in un dialogo vivo e diffuso.

C’è un posto, quel posto, che danza fra le parole di una studentessa straniera presa da una disperazione tranquilla, mentre ti racconta che i suoi stanno divorziando e ti dice “finalmente!” e tu decidi che lo spazio delle sue parole lo vuoi abitare tutto, perché lei ha bisogno di qualcuno su cui riversare il flusso.

C’è un posto, lo stesso posto, anche nel sorriso a ottanta denti di una ex allieva di quinta che torna a salutarti, con la voglia matta di dirti che è una figata questa Accademia e la strada che ha scelto è proprio sua.

C’è un posto, dicevo, che a volte dimentico che c’è, perché troppo sotto gli occhi e dentro al cuore, nel terreno reso fertile dalle risate coi colleghi, precisamente oltre i dolori condivisi e davanti ai caffè offerti, ma anche dietro la voglia di inventare progetti e nel bel mezzo di una collaborazione bella e sana con quelli che lottano ogni giorno, intorno a te, perché non vada spento anche il loro ultimo entusiasmo, di questo sacro e divorante mestiere d’insegnante.

Menomale che questo posto c’è! A volte me ne accorgo.

È qui che mi rintano quando la scuola crolla.

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