Era l’estate del 2023 quando mi sono cimentata per la prima volta in un percorso strutturato che partiva dalle pratiche filosofiche di gruppo per articolarsi in un vero – piccolo – corso di filosofia per temi, svolto al Liceo Artistico “P. Petrocchi”, nella sede di Quarrata, e intenzionato ad attrarre verso questa splendida e troppo spesso bistrattata materia in un modo che fosse diverso, laterale, imprevisto, rispetto almeno alle consuete lezioni di storia della filosofia proposte in classe.

Proporre filosofia ai ragazzi? Ehm. Per molto tempo ho pensato che il corso, – nuovo, facoltativo e senza nessun benefit in termini di voti e crediti – , neanche partisse, in realtà. E invece.
Non ho ancora capito bene perché, ma quasi una dozzina di ragazzi e ragazze fra i sedici e i diciotto anni sono davvero tornati a scuola apposta, a giugno, per seguire cinque incontri extra di filosofia, sapendo pure che non sarebbero stati coinvolti voti, graduatorie, crediti o altri meccanismi scolastici di alcun tipo, appunto.
Oddio, chissà che non l’abbiano fatto anche per quello. Perché sono sempre troppo poche le occasioni che permettono ai ragazzi e alle ragazze di uscire dal meccanismo performativo e aziendale a cui spesso la nostra scuola è costretta a sottostare… Ma questa è un’altra, ben più ampia, triste e buia storia.
A volerne vedere il lato luminoso, però, devo dire che sulla loro partecipazione sicuramente ha influito pure il legame di affettuosi sensi, di condivisione quotidiana e di lenta, reciproca conoscenza che ho costruito con loro (e loro con me) negli anni del triennio: questa è, in fondo, una parte centrale e bellissima del fare scuola, un canale di comunicazione, conoscenza e crescita bilaterale che spesso viene sottovalutato e che invece è l’humus vitale da cui si possono moltiplicare, a mio avviso, competenze e conoscenze inaspettate.

Tornando al mio progettino, in questi cinque incontri ho cercato di fare una sola cosa, in fondo: lanciare in giro qualche seme. Da piantare nei campi più vari: dalle pratiche filosofiche di gruppo al campo della scienza e della tecnica, dallo studio dell’arte e dell’estetica all’uso del linguaggio e della persuasione, fino a giungere a una riflessione politica in senso ampio, sul piccolo fascista che ognuno tiene in sé, per immaginare insieme un mondo nuovo e migliore.

Il primo incontro prevedeva, infatti, una pratica filosofica di gruppo che amo molto: il Dialogo Socratico.
Questa pratica è finalizzata a definire un concetto, dal quale, ogni volta, esce qualcosa di inaspettato e ricco. Qual era il tema proposto ai ragazzi e alle ragazze? Facile, quello da cui la filosofia stessa si origina: la meraviglia!
I miei studenti e le mie studentesse sono quindi giunti, intrecciando l’attività creativa con quella critica e collettiva, a definirla, insieme, così: “la meraviglia è una sorpresa, la rottura di un’aspettativa, qualcosa di nuovo che cambia il nostro pensiero.”

Il secondo incontro voleva invece far intraprendere a studenti e studentesse un viaggio trasversale nei modi diversi in cui l’uomo ha letto e si è rapportato alla scienza e alla tecnica, soprattutto tirando in ballo il capovolgimento del modo di pensare l’uomo in rapporto al mondo e la sua capacità di comprenderlo, che distanzia il mondo greco da quello moderno. E che, in parte, ci portiamo dentro anche senza saperlo: il mio intento sotterraneo, infatti, che attraversava questi incontri, era proprio quello di far capire ai miei giovani e alle mie fanciulle quanto ognuno abbia già da sempre in sé un suo modo di pensare, una sua visione del mondo, una sorta di scombinata ma reale filosofia personale, che riguarda la concezione della scienza come quella dell’arte, il modo di pensare il linguaggio come quello di vivere politicamente in mezzo agli altri, e orienta di conseguenza le nostre parole e i nostri atti.

Indagare il ruolo della ragione, della natura e il loro rapporto col mito, la scienza e la tecnica è stato l’obiettivo del secondo incontro, dicevamo. Mentre rapportarsi con le varie concezioni del bello che si sono susseguite nella storia, e sul conseguente ruolo che all’arte è stato dato nei secoli, era il centro del terzo incontro.
In questo incontro è stato divertente far notare agli allievi e alle allieve quanto siamo ancora influenzati dal modello di bellezza greco che unisce Bontà e Bellezza e ci porta ancora oggi a dire “brutto cattivo!” a qualcuno con naturalezza, fino a farli interrogare su cosa rende un’opera d’arte tale, nel contemporaneo. Alla fine poi, – e questo è il bello di lavorare in un Liceo Artistico, quando ti capitano classi che si sanno mettere in gioco con grazia! – si è fatta arte davvero: infatti l’incontro si è concluso con la fioritura di una sgangherata ma bellissima “Primavera” di Botticelli in versione tableau vivant!

Il quarto incontro nuovamente è iniziato giocando: con un’attività che porto avanti da anni ma che desta sempre stupore e risultati interessanti da analizzare. Il gioco riguardava la presenza in noi di pregiudizi così radicati che spesso neanche li percepiamo; era necessario partire da lì, perché tutto l’incontro ruotava attorno al potere creativo ma anche distruttivo e manipolante del linguaggio, capace di farci acquistare anche senza un vero interesse o di inventare notizie tanto assurde da renderle credibili ai nostri occhi. Piccole pratiche concrete di buona comunicazione sono state un altro piccolo seme che ho voluto lasciare infine ai ragazzi e alle ragazze: perché le avrei volute sapere anch’io, alla loro età, e perché è importante capire che a volte basta poco per rendere un dialogo autentico e rispettoso, riducendo chiusure e fraintendimenti.

Eccoci però già giunti all’ultimo incontro, quello che voleva porre attenzione alla visione politica che ognuno porta in sé, e che rischia di fare danni se non se ne prende coscienza per tempo, decidendo di noi e della nostra azione nella collettività in modo libero e consapevole. Ispirandomi al testo Il fascismo perenne di U. Eco, ho creato perciò un piccolo test attitudinale/gioco che mirava a capire quanto ognuno porti in sé i germi del modo di pensare fascista, in modo da capire che anche ciò che di peggio c’è stato nella nostra storia non è nato solo a causa di movimenti esterni, a noi estranei, ma si è sviluppato anche grazie a delle credenze e convinzioni che in maniera più o meno sotterranea possono nascere e crescere anche in ognuno di noi.

Bello è stato, in questi incontri lunghi eppure velocissimi, intrecciare con questi adolescenti riflessioni e risate, slanci d’immaginazione ed esercizi di senso critico, momenti di crisi e aree di condivisione collettiva.
Non so se qualcosa di tutto ciò rimarrà.
Lo spero, e spero che se non fiorisce oggi, lo faccia magari fra settimane, mesi o anni.
Quello che so è che mi sono divertita a vivere in questa piccola comunità, come spero si siano divertiti i ragazzi e le ragazze stesse, e come so che sicuramente io da loro ho imparato.
Ogni volta che mi ci ritrovo in mezzo, mi accorgo infatti di quanto per me sia illuminante condividere un pezzo di strada con questi bistrattati e benedetti adolescenti, che riescono tanto bene a farci dannare quanto, altrettanto e forse più, a ricordarci qual è il succo autentico delle cose.

E se devo scegliere che qualcosa rimanga loro addosso da tutto ciò, spero di cuore che sia il gusto del domandare.
Perché in tempi in cui tutti hanno la risposta pronta, la differenza la farà chi saprà porre le domande giuste. Dandosi poi tempo per pensare e approfondire criticamente, scavalcando la comodità del conformismo e il facile rifugio delle nozioni imparate a memoria, a volte semplice scusa per non prendere posizione nè affrontare il mondo.

Insomma, auguro a miei giovani e alle mie fanciulle, come a tutti gli adolescenti in generale, di uscire da scuola con “una testa ben fatta, che è meglio di una testa ben piena” come direbbe Montaigne, e Morin dopo di lui.
Perché al di là di questo mio piccolo esperimento e di quelli che ne son seguiti, di una scuola che forma e che ispira e di ragazzi su cui riporre una grande fiducia c’è davvero un estremo bisogno.
E la filosofia, io credo, è uno strumento fondamentale e magnifico per far emergere tutto questo futuro e tutta questa bellezza.

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