In questi giorni ho imparato che:
– quando pensiamo a lezioni ben fatte e coinvolgenti, il nostro pensiero si rivolge sempre alla correttezza dei contenuti e alla competenza di chi li espone, dimenticando, per snobismo o semplice disattenzione, la centralità di un altro fattore determinante: la voce. Perché ci sono prof con voci talmente calde e belle che staresti ore ad ascoltarle raccontare di tutto, dal Convivio di Dante alla trama di Squid Game, e voci invece così sgraziate, toni così incomprensibili e cadenze così fastidiose da farti passare la voglia anche di entrare in classe. Non è colpa di nessuno per la voce che uno ha, intendiamoci, ma se avete (o avete avuto) prof con una bella voce, fateci caso. E quel caso magari ringraziatelo;
– altro che lunghe argomentazioni sull’utilità di un impegno costante o complessi alambicchi mentali sulle recondite ragioni degli scarsi risultati ottenuti: metti un sedicenne timido e a volte fuori dal mondo di fronte alle tette della modella, nelle prime sessioni di disegno di nudo, e vedrai come anche lui inizia finalmente a disegnare!;
– mi viene l’agitazione a sentire parlare di “Cultura” con lo sgomento disilluso dei bei tempi andati o col sommo distacco di chi crede d’esserne l’ultimo erede. Tante volte mi sono chiesta cosa sia, questa fantomatica “Cultura”, e tante volte non mi sono riconosciuta nelle alternative proposte.
Forse qualche risposta l’ho avuta, però, grazie a una mia alunna del sostegno, con discrete difficoltà cognitive ma anche un’insaziabile voglia di imparare.
Grazie a lei ho capito che questa benedetta Cultura non dev’essere la somma di nozioni variamente originate, ma ha a che fare, io credo, con il riconoscimento, il dialogo col mondo e la coabitazione con gli altri. Cultura è quella conoscenza che diventa interessante e sperimentata; quel buon amico (antico o moderno) che mi vuoi far conoscere perché ci parli; quel piccolo pezzo di mondo che, una volta studiato, posso ritrovare con stupore, all’improvviso, nella realtà intorno a me; quella serie di parole e idee che mi permettono, insomma, di dialogare con chi mi sta vicino, abitando un immaginario condiviso che ci rende qualcosa di molto più ampio e profondo di una somma di individui: una comunità.;
– l’altro giorno, arrivando a scuola, ho guardato di sfuggita il piazzale laterale e, di colpo, sono ritornata alla mia infanzia! Non so se sia stato l’intervallo della Dad a farmi perdere pezzi, o solo lo spopolare di un’improvvisa moda fra i non-ancora-diciottenni, ma era proprio vero: l’esterno della scuola, negli ultimi tempi, è sempre più popolato di tante, allineate, compatte, multiformi…Micromachines!
– ci sono certi giorni, certe situazioni, certe frasi sentite con la coda dell’orecchio o di cui ti arriva il racconto da parte dei ragazzi ore dopo, in cui senti quanto ancora di (più o meno) sottilmente sessista, razzista, omofobo o abilista resista ancora nel lessico, nei modi e nei pensieri di alcuni prof. E allora, mentre ascolti di nascosto il borbottare critico degli alunni, magari poco attenti alle parole delle spiegazioni ma a queste dei diritti invece sì, non puoi fare a meno di pensare, con sollievo: menomale che gli studenti, a volte, non imparano tutto quello che viene loro insegnato!